“……Io conosco solo quella che insegnava Jean Klein e come la maggior parte delle vie tradizionali del Kashmir, ciò di cui parla l’insegnamento è il sentire direttamente, ma il modo di esprimere questo sentire nella vita quotidiana, certamente avviene nel tempo. Il tempo è la rappresentazione simbolica del non tempo, dunque il tempo non contraddice il non tempo, la visione diretta non impedisce che gli alberi producano semi, frutti e foglie, ma occorre rendersi conto della prospettiva temporale. La visione diretta è rendersi conto che ciò che cerco inizia prima di me. Io però posso andare unicamente avanti portando nel presente ciò che è già iniziato. Questa visione, quando è vissuta in un solo istante, toglie ogni dinamismo di andare verso qualche cosa. A questo punto la postura non è più un mezzo verso la tranquillità, ma diventa una espressione della tranquillità stessa. Il corpo è tranquillità, radiazione. Si entra nella postura con questa stessa tranquillità e radiazione, senza creare delle difese e quando si ritorna, la postura si vuota in noi: questo è un non movimento, come il suono sorge dal silenzio, si dispiega nel silenzio, si riassorbe nel silenzio. Dunque il suono è in realtà il silenzio in attività e per noi il sentire è la tranquillità in attività. Questa esperienza può passare attraverso un certo numero di trasformazioni, ma esse non sono che forme della coscienza. Un po’ come dire, secondo le varie scuole shivaite, che tutte le emozioni sono l’espressione della emozione fondamentale, primaria, centrale: shanta. Ma l’emozione viene dal silenzio e si riassorbe nel silenzio e ciò che viene dal silenzio non può essere altro che il silenzio stesso. Allo stesso modo il tempo non contraddice il non tempo, ma nel tempo si può presentire il non tempo. Per questo nel movimento si sente l’immobilità e nell’immobilità si sente il movimento…….”

Eric Baret

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