Agli universi è dato dalla capacità di entrare in uno stato d’estasi, una condizione di ampliamento della consapevolezza ben oltre i confini della mente ordinaria. Lo stato dell’estasi è sempre presente in uno sciamano, è una sua caratteristica permanente, come essere poeta per il poeta, ma viene accentuata in particolari momenti definiti rituali a mezzo di strumenti di cui il più utilizzato è il tamburo. Grazie alla sua capacità estatica lo sciamano è l’elemento di unione tra il visibile e l’invisibile. Il collegamento trai due universi per lo sciamano è diretto. Lo sciamano non ha bisogno di mediatori per parlare con Dio. Dio per lo sciamano, che è inscindibilmente unito alla natura, rappresenta l’aspetto invisibile di ogni cosa, è ciò che tutte le cose sono nel loro profondo e nel loro aspetto più libero, autentico ed elevato. Lo sciamano comunica con i mondi dei cieli e con i mondi inferi che sono rispettivamente la profondità e la verità di tutte le cose. E in questo dialogare con i cieli e con gli inferi lo sciamano non ha bisogno di mediatori. Perciò lo sciamano non ha nulla a che vedere con il medium. L’Estasi Sciamanica non è la Trance del Medium. Il medium parla per voce di spiriti e riporta i messaggi degli spiriti, degli angeli, dei demoni, dei morti, dei maestri o dei saggi, che parlano per suo tramite. Lo sciamano attinge le conoscenze diretta-mente dal cielo e dall’infero, va di persona alla fonte delle informazioni. Egli può anche prestare la propria voce ad altri, poiché ha una relazione con le creature invisibili, ma ciò è fatto per pacificarle, guarirle, accompagnarle, consigliarle. Lo sciamano è guaritore dei vivi e dei morti. Egli si occupa anche degli spiriti di natura, dei demoni, degli angeli e di coloro che stanno per nascere. Infatti “l’estasi sciamanica può essere considerata una ritualizzazione di quell’illud tempus mitico nel quale gli uomini potevano comunicare in concreto con il cielo” (Mircea Eliade, op. cit., p. 535). In quel tempo delle origini, umano e divino erano in contatto diretto e non c’era bisogno di mediatori. Questo tempo delle origini può essere visto anche come uno stato di coscienza non-duale in cui vita e morte, conscio e inconscio, visibile e invisibile, umano e divino sono distinti ma non separati, sono uno il riflesso dell’altro e, in quanto riflessi, nessuno dei due esiste nella propria realtà separata; in verità esiste unicamente la loro relazione, che è l’incessante darsi dell’uno all’altro, è il sacrum facere, l’offrirsi, l’amore incondizionato. Il mondo dell’amore possiamo pensarlo come l’età dell’oro di cui ci parla Esiodo. Nell’età dell’oro gli uomini non conoscono la vecchiaia, la sofferenza, la malattia, vivono vite lunghissime alla fine delle quali non muoiono, ma si addormentano divenendo daimones, cioè spiriti guida per i viventi. Nell’età dell’oro i viventi e i morenti, coloro che transitano dalla nascita alla morte e coloro che transitano dalla morte alla successiva rinascita, i visibili e gli invisibili esistono insieme, distinti ma non separati. Gli uni percepiscono gli altri, ne sentono costantemente la presenza. Nell’età dell’argento viventi e morenti, visibili e invisibili si trovano ancora in uno stato non-duale, ma per incontrarsi hanno la necessità di celebrare rituali. Questa è l’epoca dei rituali sacri e dei culti degli avi. Nell’età del bronzo, viventi e morenti si percepiscono distinti e separati, tra di loro non vi è più comunicazione. I morenti continuano a cercare di guidare i viventi, come daimones, ma non sono ascoltati e, molto spesso, essi stessi per primi si trovano in condizioni di bisogno e di depressione tali per cui i loro tentativi di aiuto ai viventi si tramutano in pesi e corde che li legano e li inabissano. Nell’età del bronzo, l’incapacità di “vedere” l’invisibile, la chiusura del “terzo occhio”, è generata dalla paura che contrae e serra l’individuo entro angusti limiti. La paura è la conseguenza del fatto che l’uomo vuole il potere e, in virtù di ciò, tradisce l’equilibrio universale, sentendosi poi nella condizione di chi deve espiare una colpa ed è potenzialmente sempre in pericolo. L’uomo che vuole il controllo sulle immagini – sugli eventi che sono immagini – è costretto a limitarle entro i confini della propria possibilità di misurare, prevedere, governare. Per conseguenza, chiude i canali di comunicazione con l’invisibile, rinuncia alla relazione con gli spiriti e con l’anima, per concentrarsi sulla parte dell’immagine su cui la sua mente può avere l’impressione di esercitare un controllo. In tal modo, rompe l’armonia universale e distrugge l’equilibrio primevo. Ogni immagine nell’universo ha una duplice essenza: visibile e invisibile. Esiste la luna ed esiste lo spirito della luna, esiste la pioggia e lo spirito della pioggia, il ginepro e lo spirito del ginepro, l’aquila e lo spirito dell’aquila. Spezzando l’immagine a metà non si può mai conoscerla per davvero e se ne diviene vittime. Così si finisce per cadere in un universo materiale e meccanicistico, cioè un universo in cui ogni cosa è governata da leggi meccanicistiche e tutto ciò che accade è prodotto da causalità meccaniche e deterministiche. Questa è l’età del bronzo nella quale l’uomo, avendo perso il contatto con la parte invisibile di sé, è soggetto alla paura della morte, intesa come fine irreversibile. Nell’età del bronzo l’uomo si dà regole, norme e leggi che lo governano dall’interno. A mezzo di queste leggi – le quali determinano tutto il suo modo di percepire l’universo e quindi creano il suo mondo – l’uomo spera di poter ritrovare la felicità dell’età dell’oro, il cui ricordo egli porta ancora nelle profondità della propria memoria. In verità, queste leggi, norme e regole (definite “arconti” nello gnosticismo), lo allontanano sempre più dalla felicità delle origini. È sulla base di norme, leggi e regole mentali (ben diverse dalle leggi naturali) che regolano i rapporti tra i mondi e il viaggio estatico dello sciamano che si costruisce la civiltà attuale, la quale, per parafrasare Ungaretti, è “un atto di prepotenza nei confronti della natura”. “L’atto di civiltà, che è un atto di prepotenza umana sulla natura, è un atto contro natura”. “Io personalmente sono un poeta e quindi incomincio col trasgredire tutte le leggi facendo della poesia” (Comizi d’amore, Pasolini intervista Ungaretti). Lo sciamano, proprio come il poeta, è un ribelle per amore; egli ama profondamente la natura, la vita, gli organi (che non considera meri oggetti materiali) e soprattutto ama l’amore, il quale è la forza che genera tutti gli dei e ogni immagine della natura che l’uomo può contemplare e chiamare bellezza. È come se gli arconti non avessero effetto sullo sciamano, per il quale l’unica regola è non avere regole. Uno sciamano è come un albero che pensa: totalmente legato all’istinto, all’intelligenza naturale, completamente affidato alle armonie e ai ritmi cosmici, ponte tra la terra e il cielo, immune alla paura e al condizionamento generato dalla mente critica, capace di usare la propria mente come uno strumento, senza farsi convincere a condividerne i valori, ma tenendo ben saldo nel cuore il valore più significativo in natura: la bellezza. Lo sciamano rappresenta l’uomo che porta, come un indelebile marchio di fabbrica, il segno della beatitudine delle origini; questo è l’uomo che esiste al di fuori dei confini della civiltà, non nel senso che ne è ai margini, ma nel senso che la comprende pienamente e, dunque, la argina, non dando a essa alcun modo di entrare sotto la sua pelle e di stabilire le leggi del suo sentire. Lo sciamano è un sano e utile esempio di libertà: sano, perché l’uomo che partecipa dell’età dell’oro – uno stato di coscienza non conosce le malattie, non le ha ancora inventate; utile, perché uno psicopompo conduce negli spazi selvaggi del cuore, nelle sconfinate praterie dell’amore, dove tutto è imperturbabile bellezza e impeccabile gioia. Seguire uno sciamano è l’impresa più folle e più saggia che un individuo possa compiere. Il primo beneficio che incontra chi ha il coraggio di partire è la capacità di comprendere il linguaggio del vento…

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By Klara

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